Renata Baffi

Julia

Quel giorno di maggio, il preside di facoltà Franco Crevatin ci presentò la conferenziera invitata per noi studenti di russo con un lampo di orgoglio negli occhi, nell’annunciare che da settembre sarebbe venuta a insegnare nella nostra Scuola Interpreti di Trieste. Era il 1984 e stavo pensando all’argomento della mia tesi. La conferenziera era Julia Dobrovolskaja, e fu colpo di fulmine: alla fine della conferenza mi trovai a chiederle a bruciapelo se avrei potuto fare la tesi con lei.

Da allora sono passati trentadue anni durante i quali Julia è diventata una parte molto importante di me e della mia vita: all’inizio come relatrice e Maestra; poi “pigmaliona”; poi confidente; e da ultimo amica − quando mi è venuto finalmente spontaneo darle del tu. Julia ha condiviso gioie e dolori della mia vita e mi ha visto crescere come persona, anche grazie al suo esempio ed aiuto.

Esempio: così elegante dentro e fuori, integra e coerente, generosa (sapeva donare, condividere, ma anche accettare ed esprimere la sua gratitudine con una grazia che non ho mai visto in nessun altro), intelligente e spontanea, positiva e volitiva, instancabile lavoratrice e però scientifica nel riposo e nello svago. Mi ha offerto un grande esempio di come si può vivere, invecchiare e morire. Fighissima e basta. A Trieste abito vicino al Faro della Vittoria, lo vedo dalle mie finestre e mi piace pensare che quel faro sia lei: il faro della mia vita.

Aiuto: un aiuto fattivo, concreto, e fin da subito. All’epoca in cui scrivevo la tesi già lavorando, e cioè non potendo andare a ricevimento nell’orario normale, Julia mi dedicava tutto il tempo necessario la sera o nel fine settimana, a casa mia o presso gli amici triestini che la ospitavano. Quante volte sono stata a casa sua a Milano, fin dall’epoca di via De Sanctis, a correggere le mie traduzioni e a parlare delle nostre avventure e disavventure. Quante telefonate piene di racconti reciproci, ma anche del suo affettuoso sostegno, di consigli illuminati e stimoli a leggere, fare, scrivere. Quand’era l’ora di ripartire da Milano o di chiudere una nostra telefonata, io mi sentivo sempre rasserenata, ispirata e piena di energie per nuovi e vecchi progetti di vita. Ed era particolarmente bello per me, che per karma della mia vita ho quello di accudire e pensare sempre a tutti. Invece con Julia era il contrario: era lei a preoccuparsi fattivamente per me. Insomma Julia mi ha aiutata a vivere.

Quest’anno mi è mancata la sua “benedizione” di inizio anno accademico, che mi facevo dare prima della mia prima lezione agli studenti della mia vecchia Scuola Interpreti. E mi mancano le nostre telefonate. Come Mila − altro dono di Julia! − ben sa, io temevo tremendamente il momento in cui non ci sarebbe stata più. Tuttavia, con mia grande sorpresa, questo vuoto non l’ho percepito, mentre invece mi rendevo conto di quanto fosse diventata parte di me. Julia è presente in me e fuori di me, negli oggetti che me la ricordano e in tutto quello di scritto che ha lasciato: dai bigliettini che trovavo la mattina se usciva prima di me per andare a lezione, via via fino agli esempi del suo dizionario, in cui noi amici, a ben cercare, ci siamo tutti.
Ancora grazie, Julia.