Milano, 4 settembre 2016
Ho conosciuto Julija Dobrovol’skaja nel 1983, a Milano, grazie alla mia cara amica Milena Borromeo che avevo incontrato a un corso di russo a Leningrado nell’estate del 1983. Avevo confidato a Milena il mio desiderio di continuare ad approfondire lo studio della lingua russa, ma a un livello alto, visto che avevo già alla spalle una laurea e dieci mesi di borsa di studio ministeriale a Leningrado. Milena allora lavorava alla Oria, con Emy Moresco, e quindi mi propose, una volta rientrate a Milano, di chiedere a Julija se fosse disposta a darci delle lezioni private. Così il 2 novembre 1983 cominciammo con frequenza settimanale ad andare a lezione da lei, prima in tre, poi in due, e infine rimasi da sola. Conservo ancora i quaderni di quei preziosi insegnamenti. L’ultima lezione risale ai primi di dicembre del 1990. Poi si interruppero le lezioni, ma non la nostra frequentazione, favorita anche dal fatto che Julija, proprio in quel periodo, dovette lasciare la casa di Via De Sanctis, e, grazie all’interessamento di mio padre, poté trasferirsi nell’appartamento di Porta Romana che proprio in quel periodo mio fratello aveva lasciato libero. Fu così che diventammo anche vicine di casa. Mi sembra molto strano non poter più attraversare di corsa il cortile, salire al quarto piano e trovare Julija sempre disponibile a rispondere ai quesiti, a sciogliere i dubbi, a spiegare modi di dire ormai desueti. Se penso a che cosa mi ha lasciato in eredità Julija: la sua serietà, il suo impegno, la passione per il lavoro, la voglia di conoscere. Negli ultimi anni, nonostante i dolori, la cecità da un occhio, non si arrendeva, leggeva e rileggeva sul Kindle la sua amata letteratura russa, ma non solo. Ha portato a termine la quarta edizione dell’ABC della traduzione e ha completato le sue memorie. La ricorderò per questa forza di ricominciare, di andare avanti nonostante tutto.
Patrizia Deotto
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