JULIA
Julia: il mio Sole, così la chiamavo…
Preferirei suonarle qualcosa, piuttosto che scrivere! Ma non è possibile. E così ci provo.
Conobbi Julia quand’ero ragazzina, nel vecchio appartamento in coabitazione delle sorelle Šklovskij (la mamma di Julia, Vera Solomonovna, era loro amica), dopo la Spagna e prima della gattabuia, alla Lubjanka, in cambio del suo eroismo “spagnolo”.
Entrò, e tutto fu illuminato dai suoi capelli d’oro… Non mi soffermerò sulla bellezza del suo volto dagli occhi castani e allungati come quelli di una gazzella. E rifulse la sua mente di autentica, grande Donna, lo scrivo con la maiuscola. Una perla rara, e per giunta bellissima.
Ricordo ancora la mia impressione: fu come toccare un “punto di massimo”.
Passarono parecchi anni; Julia tornò a Mosca e io, andando a lezione d’inglese da sua madre Vera Solomonovna, frequentavo la sua “magione” di via Kalinin (all’epoca era sposata con Dobrovol’skij). Fu allora che iniziò la nostra amicizia. Quella casa aveva qualcosa di cupo, non fosse stato per i suoi capelli d’oro e per la voce, pure quella d’oro: con una frequenza alta che oltrepassava tutte le barriere fisiche e ti entrava nell’anima.
Quella voce l’ho udita fino ai suoi ultimi giorni. La chiamavo e le dicevo: “Voglio sfiorare la tua voce.” Voce nota ai suoi amici e studenti, che reagivano ad essa come a una visione sfolgorante, perfino chi non aveva un’anima. Sì, una voce d’oro! Da musicista aggiungerò che quando traduceva in simultanea i film e faceva conoscere la cultura russa agli illustri ospiti italiani della ministra sovietica Furceva, la sua voce era un vibrare di frequenze alte, un dono di Dio, un suono raro come si può ricavare da un violino, o persino da un pianoforte.
La mia vita è così grigia senza la voce della mia cara Julia, il mio Sole.
Abbiamo vissuto tanti momenti memorabili, è impossibile raccontarli tutti…
Ricordo quando venne in Italia per ricevere il premio alla cultura dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui fu ispiratore Paolo Grassi. Io mi trovavo già lì, traditrice della Patria… Non so cosa avrei dato per presenziare alla cerimonia, ma temevo una reazione ufficiale delle autorità sovietiche. Però Julia disse a Paolo Grassi di comunicarmi che mi ordinava di andarci. Così andai al nostro primo incontro in Italia, abbracciai il mio Sole e potei udire la sua voce “solare”. L’anno in cui accadde ciò che pareva quasi impossibile: la liberazione di Julia dal “paese in coabitazione” − l’Unione Sovietica − grazie a Emy Moresco e al matrimonio umanitario con Ugo Giussani, festeggiammo il suo compleanno a Massa Marittima dopo un mio concerto, cenando al ristorante con tutti i crismi. E poi, la mattina seguente in piazza, dove Julia ricevette il dono più prezioso: la fine del Partito Comunista.
Julia, io credo, io so che senti e sai tutto. Stammi bene, mio Sole!
La tua Paganinočka
Nina Beilina